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Bollicina fai da te

di Christian Benna

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11 febbraio 2010

Tutto fatto in casa. O quasi. Proprio come una volta. Incluse le bollicine. Non siamo ad Atlanta, nel retrobottega tardo-ottocentesco di John Stith Pemberton, il farmacista americano che alla ricerca di un rimedio per il mal di testa inventò la formula della bevanda gassata più famosa del mondo. Ci troviamo invece a Nogara, 30 chilometri da Verona, nel più grande stabilimento europeo di Coca-Cola Hbc, 62mila metri quadri, dove si batte la crisi a colpi di autarchia industriale. È la fabbrica fai da te: dalle soffiature delle bottiglie in Pet alla corrente elettrica, all'anidride carbonica. È il trionfo del riciclo produttivo: pure gli scarti e i rifiuti rientrano nei processi lavorativi. Nell'impianto non si butta via nulla. La chiamano sostenibilità ambientale, dettata dai principi "green" della casa madre, Coca-Cola Company, e implementata dalle società di imbottigliamento divise per aree geografiche, ma in realtà è un toccasana per i conti economici. Soprattutto in mercati saturi come quello del beverage italiano, dove la barra dei consumi è già ai suoi massimi.

Coca-Cola Hbc Italia — dove Hbc sta per Hellenic bottling company, gruppo greco con sede ad Atene e principale azionista della multinazionale che opera in 28 Paesi — impiega nella Penisola 3.000 persone in otto stabilimenti (sei per le bibite e due per l'acqua minerale). E fattura circa 1,3 miliardi di euro, coprendo il 95% dei volumi nazionali. Dopo l'acquisto di Socib, l'azienda che sforna Coca-Cola in Campania, proprietà della famiglia Capua, fuori dall'orbita di Hbc resta solo la Sicilia, ancora in mano a un imbottigliatore indipendente, Sibeg.

L'azienda italiana numero uno nel beverage, davanti a San Pellegrino-Nestlé, padrona incontrastata del suo segmento, oggi lavora sul risparmio delle materie prime e dei processi produttivi per migliorare i margini. Nel 2009 Nogara ha investito 20 milioni di euro per un impianto di cogenerazione che rende autosufficiente lo stabilimento generando 9 Mw di potenza di energia termica, elettrica e frigorifera. E con gli scarti delle turbine si produce anche l'anidride carbonica, le mitiche bollicine. «Prima acquistavamo la Co2 all'esterno. Ora, grazie al nuovo impianto di cogenerazione siamo indipendenti energeticamente, e risparmiamo anche sull'anidride carbonica», spiega Paolo Lonardi, il plan manager dello stabilimento di Nogara, il direttore d'orchestra che fa girare le linee di imbottigliamento.

Tutto in casa o quasi. Da fuori le mura della fabbrica arriva il concentrato, il prodotto semilavorato che proviene dalla fabbrica irlandese di Coca-Cola Company, l'anima della bevanda che mischiata a sciroppo zuccherato riempie lattine, fusti e bottiglie. A Nogara, impianto nato nel 1975, quando gli imbottigliatori di Coca-Cola erano poco più di una dozzina, si lavorano 277mila unità l'anno di concentrato. Ogni cassa di liquido bruno scuro, dove è racchiusa la ricetta segreta della bevanda di Atlanta, origine di continue spy stories con i concorrenti, produce circa duemila litri di Coca Cola.

Restano fuori dal perimetro aziendale anche le rifiniture su vetro del marchio Coca-Cola. Incise non nella dirimpettaia Murano, ma — per ragioni di costi — in Arabia Saudita. Il resto è tutta farina dell'universo di Nogara, dove vengono prodotti 500 milioni di litri di bibite l'anno, per 60 milioni di casse. Pure l'acqua viene pescata sotto casa, a 180 metri di profondità in uno dei quattro pozzi di proprietà dell'azienda e poi trattata secondo gli standard richiesti dalla multinazionale Usa. Le concessioni sono decennali e, quando serve, si fanno trasfusioni all'acquedotto locale. Spiega Lonardi: «L'area dove sorge lo stabilimento è una zona valliva, bonificata solo nel 1945. Non togliamo nulla all'ambiente. Anzi, quando c'è la necessità forniamo acqua ai paesi limitrofi». L'agenda di Paolo Lonardi è un rompicapo di statistiche che incrociano joule, Mw, unità di concentrato, casse uomo, bottiglie-litro. «Nel 2002 impiegavamo 4 litri di acqua per ogni litro di Coca Cola prodotto. Oggi siamo a 1,8 per litro. Come facciamo? Riutilizziamo l'acqua più volte nei processi produttivi. L'acqua che usiamo per pulire le bottiglie serve poi per raffreddare le torri evaporative e infine nei bagni aziendali».

Negli ultimi 5 anni la riduzione dei consumi dell'energia è stata del 7%, oltre il 16% per quanto riguarda l'acqua. Oggi il 10% del consumo idrico viene riciclato. Taglio netto anche agli imballaggi. I rifiuti recuperati e riciclati ammontano al 98% del totale e sono in ulteriore aumento rispetto al 2007. Nel 2009, grazie alle modifiche apportate all'imballaggio di alcune bevande (il nuovo collo delle bottiglie da mezzo litro di Coca Cola sarà più corto di 4 mm), Coca-Cola Hbc Italia punta ad utilizzare 80 tonnellate di Pet in meno ogni anno. Che si traduce in un bel guadagno nei bilanci: 300mila euro di risparmi sull'energia e 100mila sulle materie plastiche. «E vogliamo spingerci ancora più in là. Abbiamo in cantiere diversi progetti, come la produzione diretta preforme delle bottiglie di Pet, che oggi ci limitiamo a soffiare», dice Lonardi.

  CONTINUA ...»

11 febbraio 2010
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